Da Obama a Renzi: la politica tra social media e storytelling
Lo storytelling politico non può essere soltanto identificato nella creatività di claim e slogan. Chi si occupa di questa disciplina è chiamato a raccontare il “prodotto politico” a 360 gradi, creando un vero e proprio mondo narrativo.
Immaginiamo il candidato come l’eroe della storia che dobbiamo costruire, potendoci addirittura basare su “Il viaggio dell’eroe” di Chris Vogler, e su testi come “The hero with a thousand faces” di Joseph Campbell. Testi pratici che individuano quelli che sono i punti chiave del successo di una storia.
Il racconto e la promozione di un progetto politico attraverso una storia si condensa poi certamente in uno slogan, che può essere lo “Yes, We Can” di Obama nel 2008, oppure “La Force Tranquille” della campagna presidenziale di Mitterand nel 1981 in Francia. Prima di queste frasi che colpiscono l’emotività degli elettori, si rivela necessario costruire un sentiment favorevole al candidato attraverso il racconto di una storia. Oggi è molto facile per un politico in corsa scivolare su una buccia di tweet, con una foto sbagliata su Instagram o un post non azzeccato su Facebook. La cura della comunicazione del candidato avviene ad ogni livello e in ogni dettaglio, dall’online all’offline, dai discorsi dei dibattiti pubblici ai 140 caratteri di Twitter.
Social media e storytelling politico
Lo storytelling politico, oggi, passa inevitabilmente per le piattaforme social-mediali, in particolar modo Facebook, Twitter, Instagram, e negli Stati Uniti anche Snapchat.
L’app del fantasmino qualche mese fa commissionò addirittura un sondaggio alla Global Strategy Group e Public Opinion Strategies per dimostrare come Snapchat fosse un medium estremamente efficace per raggiungere e coinvolgere nel dibattito pubblico i giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni. I risultati, ottenuti su un campione rappresentativo di circa 1150 utenti, dimostrano come il pubblico di questo social sia politicamente impegnato e estremamente informato su attualità, politica e sociale. Hanno seguito con molto interesse il DemDebate e il GOP, ma soprattutto hanno speso parecchio tempo per cercare e vedere frammenti del “dietro le quinte” dei candidati. Insomma, viene dimostrato interesse per il politico nella quotidianità: per questo motivo è oramai necessario curare l’immagine, la reputazione e la comunicazione del candidato in ogni aspetto.
Lo stesso Jim Messina, campaign manager di Obama nel 2012, ha posato la sua attenzione su Snapchat, individuandolo come uno strumento con grandi potenzialità per un candidato e per il suo staff di comunicazione al fine di raggiungere i giovani elettori.
«Una pedina fondamentale sullo scacchiere di un consulente politico».
L’importanza dei video nello storytelling politico
Il contenuto multimediale ritenuto più idoneo per lo storytelling politico è sicuramente il video, soprattutto se live e non montato, per offrire uno sguardo autentico e genuino sul candidato. In questa campagna elettorale, ancora in corso, per le presidenziali USA 2016, piattaforme come Periscope e Live di Facebook sono state molto utilizzate, soprattutto dalla candidata democratica Hillary Clinton. La Clinton si è affermata come la regina indiscussa del live stream, con un costante uso di Periscope, Live Facebook via Mention, e Snapchat dove ha chiesto la riserva di una lista di più di 50 nomi-utente possibili. Lo strumento del live stream permette la trasmissione del messaggio politico in immediato, e disintermediato da logiche redazionali (così come Twitter con la parola).
La penetrazione dei video on-line in campo politico è in continuo aumento. Il Pew Internet Research Center e l’American Life Project pubblicarono un rapporto sui video a contenuto politico nella campagna elettorale per le presidenziali USA 2012. Nel rapporto possiamo leggere che il 66% degli elettori aveva seguito la campagna attraverso video su Internet.
E Renzi in Italia?
Il racconto della politica serve per mobilitare sentimenti, per attrarre consenso e cementificare il rapporto di fiducia con i propri elettori, piuttosto che spostare le persone indecise a sceglierti. Dal 2009 ad oggi, Matteo Renzi ha raccontato sé stesso e il suo quotidiano nel tentativo di intercettare la diffusa domanda di cambiamento proveniente dalla società e di ridare una identità chiara al Partito Democratico, reduce da anni di scontri interni e delusioni cocenti (“smacchiamo il giaguaro”, cit.).
Lo strumento utilizzato da Matteo Renzi “in persona” per raccontare sé stesso è Twitter, mentre Instagram e Facebook sono usati in modo più istituzionale. Su Instagram il racconto del presidente del consiglio, in modo più autentico e genuino, avviene attraverso l’account del suo strategist e portavoce, Filippo Sensi, con l’account @nomfup.
Secondo il sociologo e scrittore Christian Salmon, il primo ministro italiano è «il sintomo più visibile in Europa dello scivolamento della politica verso la pura comunicazione». Renzi «si spinge ancora più in là – osserva Salmon – ha fatto dello storytelling politico non solo una tecnica di comunicazione, ma un programma di governo».
Certo, lo storytelling politico se non può essere ridotto al solo claim su un manifesto, non può nemmeno essere inquadrato nel solo uso ottimale dei social network. Le piattaforme del web 2.0 sono una pedina dello scacchiere per un consulente politico, ricordandosi sempre che “likes don’t vote, people do“.
Solo una cosa però: smettiamola con gli hashtag sui manifesti.