Post pubblicità: da Carosello al native advertising
Sempre più spesso si tenta di definire e demarcare le differenze tra content marketing, native advertising e brand journalism. Ma cosa accomuna queste nuove forme di comunicazione aziendale e da quale specifica esigenza nascono?
La banner blindness
In ogni momento della nostra giornata, sia online che offline, ci troviamo circondati da pubblicità. Un’overdose da advertising che, soprattutto sul web, ha portato gli utenti a non essere più consapevoli del momento in cui saranno sottoposti ad una sponsorizzazione – cosa che accadeva in intervalli regolari negli old media – ma ad essere bersagliati in ogni momento: banner sui siti, interruzioni pubblicitarie durante la riproduzione di musica su Spotify, sponsorizzazioni prima dopo e, come accade da un po’ di tempo a questa parte, anche durante la riproduzione di un video su YouTube o su Facebook, quasi ad emulare la cara Tv che interrompe il film sul più bello.
E noi utenti? Attiviamo uno scudo di difesa che in termini tecnici viene definita banner blindness: scappiamo, anzi, skippiamo come se fossimo la navicella del gioco arcade Asteroids e le inserzioni pubblicitarie fossero gli asteroidi da evitare o, ancor meglio, colpire ma sta volta non con un colpo laser bensì con un appagante skip, close o, addirittura, pagando le versioni premium delle app.
Quello che conta, adesso, è capire quanto la pubblicità abbia ancora incidenza nelle loro scelte quotidiane delle persone e quanto, invece, l’utenza preferisca i nuovi mezzi di comunicazione di marca.
Insomma, la pubblicità sembra non si stia rafforzando con la capillarizzazione del suo raggio di azione ma si stia auto-indebolendo provocando un’inflazione da sponsor.
Uno sguardo al passato
Se torniamo indietro di circa 50 anni, precisamente nel ventennio compreso tra il 1957 al 1977, vi era una magia che incantava gli italiani di ogni età ed estrazione sociale: Carosello.
Più di dieci minuti di pubblicità tenevano incollati allo schermo milioni di italiani (si stima che all’apice della fama, intorno al 1976, i telespettatori raggiungessero i 19 milioni) tanto da parlare di Carosello come il programma più rappresentativo della paleotelevisione.
Un programma pubblicitario – quasi un ossimoro – composto una serie di sketch di poco più di due minuti (moltissimo tempo se rapportato ai 15/30 secondi delle pubblicità odierne) dove la réclame effettiva si concentrava solo nei 35 secondi finali ed il prodotto non poteva essere nominato più di sei volte.
Come è possibile che il programma più amato dagli italiani fosse una pubblicità così fatta?
Escludendo i fattori di stupor per il mezzo televisivo e la quasi nulla possibilità di scelta nel palinsesto della Tv pubblica, quello che colpisce è l’attualità della strategia di Carosello.
Un racconto giornaliero fatto di mini-serie “a puntate” che si rinnovavano settimanalmente e che abituava il pubblico a un appuntamento imperdibile con la creatività più che con l’anima commerciale che, tra l’altro, non era per nulla congruente con gli scopi pedagogici della tv delle origini e andava, per così dire, celata in qualche modo.
Seppur oggi sarebbe impensabile replicare un esperimento del genere è vero anche che la strategia narrativa di ambe le parti, televisione in primis e aziende in secundis, funzionava.
Staccandoci da questo momento amarcord, non è forse questa una logica promozionale replicata negli ultimi tempi?
Utilità e informazione: i nuovi obiettivi della comunicazione aziendale
Affacciandoci sul panorama attuale, se da un lato il pubblico si è completamente disincantato di fronte al numero di messaggi pubblicitari che arrivano ogni giorno, la narrazione è una strategia ancora attuale e sicuramente il native advertising ne è un esempio concreto.
Quello che senza dubbio oggi funziona, più del messaggio pubblicitario nudo e crudo, è l’utilità.
Ed utilità equivale ad informazione.
Il native advertising è un metodo che utilizza più che la scrittura – tipica del content marketing – il linguaggio multimediale per accrescere la brand awareness del brand attraverso la creazione di contenuti d’intrattenimento e informazione.
La promozione e l’immagine del brand, dunque, si misurano non più con la mera promozione del prodotto ma con la creazione di contenuti di vario genere – audio, serie tv, inchieste giornalistiche, post – da diffondere su piattaforme di varia natura.
Uno degli esempi più classici è il native advertising avviato da Netflix, che più di tutti ha saputo conciliare utilità, intrattenimento ed informazione collaborando con i colossi giornalistici americani, per sponsorizzare il proprio prodotto e guadagnare in termini reputazionali, oltre che economici.
Parlando della collaborazione di Netflix con il Wall Street journal, ad esempio, ci occupiamo di una media partnership allo stato puro: mentre Netflix il 28 agosto 2015 aveva lanciato Narcos, la serie Tv incentrata sul personaggio di Pablo Escobar, il 25 settembre il Wall Street Journal creava Cocainenomics, uno storytelling multimediale giornalistico che approfondiva le dinamiche legate al traffico di droga in Sud America partendo proprio dalla ricostruzione storica di Narcos. Insomma, un’integrazione di piattaforme finalizzata ad allargare il proprio bacino di utenza: i serie-addicted potevano avere uno spin-off giornalistico attingendo al Wall Strett Journal, e i lettori di quest’ultimo potevano vedere su Netflix, in chiave d’intrattenimento, ciò che il giornale stava trattando.
È in atto un cambio di atteggiamento: oggi, sono gli individui stessi a ricercare le informazioni che sono per loro utili, soprattutto se pensiamo ad aziende e prodotti.
Questa è la ragione per cui oggi si comincia a parlare di mercati post pubblicitari, ovvero un momento storico in cui la possibilità di parlare al proprio bacino di utenza in maniera disintermediata rappresenta una minaccia per la pubblicità di stampo tradizionale.
Ed è in questo scenario che anche il Brand Journalism ha cominciato la propria ascesa, argomento che approfondiremo prossimamente nella II edizione del libro Brand journalism. Storytelling e marketing: nuove opportunità per i professionisti dell’informazione.
Martina Galletta